20.6.12

Io non sono come lei (io vorrei, non vorrei, ma se vuoi...)

Gira sta voce che dopo i primi due anni pazzi dalla nascita di vostro figlio, in genere il primo, la ruota, quella che, appunto nei primi due anni, perde fluidità, s'arrugginisce, gira come quei vecchi carri sgangherati di qua e di là come fosse ubriaca, quella ruota, che poi sarebbe la ruota della vostra personalissima vita, gira sta voce che poi dopo i primi due anni ricominci a girare bene.
S'intende probabilmente una specie d'affrancarsi reciproco, del genitore e del figlio, l'uno dagli squilibri della sindrome "non avrai altro genitore all'infuori di me", l'altro da quella visione che ha del proprio genitore come distributore automatico, quello tarocco senza monetine, di soddisfazioni delle proprie necessità.
Ora, non so come dirvelo, cari genitori che domani compirete i primi due anni pazzi e siete già con lo spumante in mano pronti a brindare per la vostra ritrovata libertà, voi che avete prenotato un viaggio ibicenco, o che avete messo in una pila ghiotta tutti gli arretrati da leggere, o che avete già disposto le vostre trenta candele profumate su quella vasca yin e yang om #sonountutt'unoconl'universo,
non so come dirvelo, ma questa voce mi pare 'na minchiata.

La verità è che continuerete ad andare dai vostri suoceri in quel del paesino montanaro, tra vegetazione, casolari e presenze semoventi: età media centoquattro anni, e durante il viaggio in macchina canterete "La stessa voglia di vivere in casa di riposo che ho"; guardando con cupidigia la pila degli arretrati da leggere, continuerete ad aspettare con ansia l'arrivo dell'azione corrosiva del consumismo*, che nei libretti di cartoncino spesso delle favolette non arriva mai, mai, mai, mai... ; e continuerete a farvi quella doccia tristissima, durata massima venticinque secondi, durante i quali non vi rilasserete mai, (mai, mai, mai...) aspettando l'imminente catastrofe di là in cucina #sonountutt'unoconloyogurtdisseminatosuldivano.

16.6.12

L'amore in Albania

Erding o Erdin o ancora non so, ma se lo senti pronunciare ricorda Ederlezi di Goran Bregovic.

E in effetti quando entra in casa, per la prima volta dopo un anno, Erding o Erdin o ancora non so, ma Ederlezi, quella sì che la so, quella musica, viscerale, triste e potente, come certi dolori che non appena si urlano, clarinetti, trombe e violini messi insieme, sono già belli che finiti, e quando entra in casa Erding o Erdin che se lo senti pronunciare ricorda Ederlezi, quella musica si sente ovunque, si sente anche col naso, viscerale fin dentro le sedie dove siamo seduti. Una musica che porta un dolore già bello e finito.

E lui seduto ci sta, composto e senza postura. Rimane curvo, un giovane curvo, occhi verde-azzurri, giovani loro, giovane lui, e curvo. Ci puoi pensare tutto lì sopra a quella curva, dopotutto è messa così in vista, senza postura appunto, ché ci leggi tutto, scritta come la mano sinistra delle zingare. Ci vedi tutta la vita di Erding o Erdin, in quell'attimo che lo vedi seduto, giovane e curvo. Che "senza postura" è semplicemente quello che è: Erding o Erdin, o ancora non so.
E adesso, è chiaro a tutti, bisogna dare parole a quella musica, che qui, stasera a casa nostra, una sera qualunque in Italia, mia madre, mia sorella, io, stasera, a casa nostra, quella musica bellissima che ha la colpa di venire dall'Albania.

9.6.12

Sono rimasta indietro

Oh! Oooooh, bimba,
che quando ti aiuto è un affronto e mi è rimasto quasi solo prepararti da mangiare
che ti siedi sul wc come se non fossero due giorni che lo fai
che quando siamo fuori non vuoi più la mano
che la mia presenza non è più imprescindibile ma significativa tanto quanto tutte le altre
che in strada non cammini più e non inciampi e non hai timori e non senti più il bisogno di esser presa in braccio ma corri, corri velocissima
che non chiedi ancora i perché ma è un continuo di cos'è e le mie risposte a volte cominciano a zoppicare
che parli al telefono con chiunque e non aspetti più che ti imbocchino domande e risposte; adesso al telefono racconti quello che più ti va di raccontare, ché cominci ad avere le tue storie dove in tante già non figuro più
che trascorri i tuoi pomeriggi con la tua amichetta e io raccolgo i giocattoli
che non sopporti più le tute comode e pretendi pizzi e merletti tutto il tempo e non so perché ma mi sembra una questione d'adolescenti
che sei un po' meno dolce e più determinata
che se fosse per te non torneresti mai a casa e l'altro giorno, uscita di mattina e tornata quasi a sera, mancava poco che ti aspettassi seduta sul ciglio di casa come le madri addolorate di cinquantanni fa e non l'ho fatto solo per questioni di pudore e decoro
oh! ooooooh! su, bimba,
stai un po' ferma adesso,
vieni qua, in braccio, stiamocene un po' così, facciamo che il mondo oggi non ti interessa,
facciamo che siamo di nuovo solo io e te.
facciamo finta.

8.6.12

Stregatta ci cova

Non ho capito che specie di problema abbia certa gente nei confronti del sorriso.
Una vita che ci combatto.
Pare che il consenso generale al sorriso sia dettato da questioni di reazione: sorridere ad una battuta, ad un evento, ad una buona notizia, ad una condizione di contentezza. Avviene qualcosa e come un giocattolo interattivo premi un pulsante e tac! ridi. Reazione che come ogni dinamica del mondo ad un certo punto si esaurisce e trova la sua fine.
Dopo c'è uno stato neutro, amatissimo questo dal senso comune. 
La faccia non deve avere espressioni, non tira né all'insù, né all'ingiù. Sta in mezzo sospesa, finché un'altra reazione non la porta su o giù.
Ecco: a me è la neutralità che mi frega. O il pulsantino, non so. In tutte le cose della mia vita, non so stare neutra. O va bene o va male. O rido, o sono incazzata, o triste. O su, o giù. 
E siccome, anche quando il periodo non è dei più floridi, io se sto con la gente in genere mi svago, non penso ai guai del mio orticello ma a quello che mi porta nel bene e nel male in quel momento chi mi sta di fronte, succede allora che la gente mi veda sempre ridere.
E questo non è tollerato, non si confà, non s'addice. A meno che la persona in questione di fronte a me non abbia appena sfoderato la sua migliore ironia o comicità o non abbia un pezzo di lattuga tra i denti e allora via col tac!
La gente in genere non capisce e fraintende il mio sorriso e quasi sempre corre a controllarsi i denti.
Baby, a meno che tu non abbia vinto la lotteria, sia incinta, abbia ricevuto un premio di carriera, o non sia Ghandi, vedi di toglierti all'istante quel sorriso non reattivo. Senno sei scemo oppure mi è rimasta la lattuga di ieri.

2.6.12

Short Life Stories: Illusioni notturne

La scenetta nasce qualche notte fa, precisamente quando per la prima volta Sofia decide per sua libera scelta e volontà di emancipazione di dormire nel suo letto. Tutta la notte.
Nel lettone io e il Riccio sembriamo due olive in salamoia appena fuori dalla salamoia. Non sappiamo che farcene di tutta questa libertà improvvisa, non ricordiamo da dove si inizia.
In uno dei tanti nostri risvegli notturni, perché anche ritornare alle vecchie posizioni nel sonno risulta difficile, "non siamo abituati" il Riccio dixit, rantolando. 
Ecco. Di questa nostra prima notte, il vero frutto è stata questa Short (di quando si dice che a volte le catene che ci opprimono davvero sono solo nella nostra fantasia; le altre stanno finalmente dormendo nel loro lettuccio):