Perché ieri la prima cosa che mi è venuta in mente appena sveglia è che avrei voluto raccontare con dei tweets gli anni 3 di Sofia, i preparativi, la festa.
Questo credo avrebbe risolto lo strano rapporto che ho con Twitter, visto che ancora non ho trovato il modo di servirmene bene. Mi dico che forse sono una specie di purista, nel senso che non mi piace usarlo come fosse una chat da condominio. D'altro canto le frasi lapidarie da Dalai Lama mi sembrano pretenziose e da saccente.
Stare in mezzo, come sempre, mi sembra un compromesso ragionevole.
Stare in mezzo raccontando una storia, mi sembra la soluzione migliore.
Magari, nel frattempo, è possibile che a furia di raccontarle, le storie, non oggi, non domani, né il prossimo 2 giugno, ma un giorno forse ci salveranno.
E invece niente.
Dopo una manciata di tweets mi sono arresa. È che in effetti sono una che per raccontare le storie che vive, appunto, le deve vivere.
Metterci in mezzo l'occhio che analizza, che giudica, che sceglie cosa è meglio raccontare, cosa no, mentre stanno accadendo, mi toglie buona parte di consapevolezza. Questo è anche il motivo per cui non sono una fotografa. Non riesco a rinchiudermi dietro quel box circolare senza avere la sensazione di stare perdendomi buona parte della storia. Inutile specificare che c'è chi invece riesce a seguire le narrazioni, focalizzarne i dettagli, soltanto attraverso quel box.
Appunto, non sono una fotografa.
E, in senso lato, mi sembra sia chiaro di non essere nemmeno una fotografa del momento presente.
Mi serve arrivare alla fine delle storie, bruciarle tutte, non lasciarne acceso fin l'ultimo dettaglio, per poi capirle e comunicarle.
Appunto: poi. Con me funziona il poi, l'a posteriori.
E invece penso che si dovrebbe tenere più in conto la potenza di questo megalito che è internet e che nel racconto del momento presente trova la sua potenza. Specie per le storie, appunto.
Voglio dire, le storie su internet diventano vecchie dopo appena qualche ora.
E non è un qualcosa da legare necessariamente agli orrori dei fast food. È che in questo modo avviene in presa diretta la cernita delle storie. Quelle buone diventano vecchie storie. Quelle inutili diventano storie vecchie.
In questo caso dunque il fast (ma anche il food in un certo senso) ha l'utilità di preservare il nostro bagaglio, la nostra memoria, dalle cose futili. Ci lascia invece quello che deve rimanere. Che diventa vecchio, quello buono, perché il tempo ha il buon senso di preservarlo da se stesso e se lo porta a spasso.
Imparerò, magari.
Nel frattempo vi racconto questa nostra storia di ieri, già troppo vecchia da un giorno.
E per restare in campo, mi pare logico provare a farlo così:
Oppure
Questo credo avrebbe risolto lo strano rapporto che ho con Twitter, visto che ancora non ho trovato il modo di servirmene bene. Mi dico che forse sono una specie di purista, nel senso che non mi piace usarlo come fosse una chat da condominio. D'altro canto le frasi lapidarie da Dalai Lama mi sembrano pretenziose e da saccente.
Stare in mezzo, come sempre, mi sembra un compromesso ragionevole.
Stare in mezzo raccontando una storia, mi sembra la soluzione migliore.
Magari, nel frattempo, è possibile che a furia di raccontarle, le storie, non oggi, non domani, né il prossimo 2 giugno, ma un giorno forse ci salveranno.
E invece niente.
Dopo una manciata di tweets mi sono arresa. È che in effetti sono una che per raccontare le storie che vive, appunto, le deve vivere.
Metterci in mezzo l'occhio che analizza, che giudica, che sceglie cosa è meglio raccontare, cosa no, mentre stanno accadendo, mi toglie buona parte di consapevolezza. Questo è anche il motivo per cui non sono una fotografa. Non riesco a rinchiudermi dietro quel box circolare senza avere la sensazione di stare perdendomi buona parte della storia. Inutile specificare che c'è chi invece riesce a seguire le narrazioni, focalizzarne i dettagli, soltanto attraverso quel box.
Appunto, non sono una fotografa.
E, in senso lato, mi sembra sia chiaro di non essere nemmeno una fotografa del momento presente.
Mi serve arrivare alla fine delle storie, bruciarle tutte, non lasciarne acceso fin l'ultimo dettaglio, per poi capirle e comunicarle.
Appunto: poi. Con me funziona il poi, l'a posteriori.
E invece penso che si dovrebbe tenere più in conto la potenza di questo megalito che è internet e che nel racconto del momento presente trova la sua potenza. Specie per le storie, appunto.
Voglio dire, le storie su internet diventano vecchie dopo appena qualche ora.
E non è un qualcosa da legare necessariamente agli orrori dei fast food. È che in questo modo avviene in presa diretta la cernita delle storie. Quelle buone diventano vecchie storie. Quelle inutili diventano storie vecchie.
In questo caso dunque il fast (ma anche il food in un certo senso) ha l'utilità di preservare il nostro bagaglio, la nostra memoria, dalle cose futili. Ci lascia invece quello che deve rimanere. Che diventa vecchio, quello buono, perché il tempo ha il buon senso di preservarlo da se stesso e se lo porta a spasso.
Imparerò, magari.
Nel frattempo vi racconto questa nostra storia di ieri, già troppo vecchia da un giorno.
E per restare in campo, mi pare logico provare a farlo così:
Il rosa, il vocìo forte al sole e gentile alle due di notte, gli amici, la prima pipì sul wc, marshmallow e amaro. Sofia's 3.
— Veronica (@lasciadisofia) Mag 29, 2012
Oppure