12.3.12

Cuscini e ciucci. Noi che a volte parliamo al soffitto

È che poi a volte per strada ti perdi qualcosa. Ci provi a tracciare i confini, le linee guida, i marciapiedi ideali da cui dovrebbe essere difficile sbordare. Ci provi a fare in modo di andare dritto, visto che andare dritto dovrebbe poi essere più semplice che allungare con strade secondarie non asfaltate e poco illuminate. Ci provi. In fondo, prima che una buona strategia esistenziale, è innanzitutto matematica basilare.
E invece, traaack, succede che senza che neanche te ne rendi conto hai sbordato eccome. Le strade impervie le hai imboccate perché alla fine non tutto si presta facilmente a calcoli e strategie. La vita, si sa, non è allegra dispensatrice di codici prestabiliti, metri e gessetti, purtroppo. La vita è una cavalla senza paraocchi. Lei non segue marciapiedi, lei galoppa.

È facile che si sbordi, allora.
Quasi tre anni ed è un casino, proprio perché lì per strada qualche pezzo lo abbiamo perso.
O forse poi in viaggio non si dovrebbe parlare di questione di perdita quanto magari di funzione, il fatto di lasciare qualcosa per far spazio ad altro più avanti.
Ma non lo so, a dire il vero, quanto possa valere un detto ascetico da quattro soldi mentre sei nei macelli.
So però che io e lei abbiamo appena vissuto qualcosa di molto forte. Un cuscino lanciato a terra e da raccogliere come pretesto. Una duenne che ha tutta la dignità del mondo a rimanersene lì in piedi per quarti d'ora davanti al cuscino e non raccoglierlo. E io, mentre ci sfidiamo in silenzio, che mi chiedo con quale specie di contraddizione negli occhi la stia per caso guardando mentre penso quanto sia sbagliata la sua presa di posizione, e bellissima allo stesso tempo.
Non è semplice trovare le parole, spiegare il perché sia giusto e perché no. Trovare le parole per dare valore agli atteggiamenti. Difenderli alcune volte e condannarli altre. Non è facile giustificare i gesti, e soprattutto il faldone che sta dietro ai gesti, ad una bimba che non ha nemmeno tre anni, ma la dignità e il diritto di capire, quelli li ha tutti pieni.
Allora a volte, per alcune questioni che si prestano, tipo "ancora il ciuccio", io francamente demando.
Evito lo scontro, richiamo tutta la faccia di culo che è in me di fronte ad un evidente squallido rimbalzo delle responsabilità e invoco Fatina.
Fatina sta appollaiata sul controsoffitto sopra il lettone e si è deciso all'unanimità che è bionda con gli occhi azzurri, vestita di tulle rosa fino ai piedi che brilla come le stelle del firmamento. Questo paraculo stereotipo per eccellenza di beltà mi viene in soccorso ogni qualvolta mi serve che Sofi lasci il ciuccio. E siccome, ogni volta che si presenta la questione "lasciare ciuccio", all'improvviso davanti mi si para lo stampo in scala di un beone ottantenne cirrotico con crisi d'astinenza, che vi devo dire, Fatina, sarà gli svolazzi, il luccichio, il biondo ammaliatore, sarà che mentre siamo lì con i nasi all'insù a fare domande su domande e Fatina non risponde ché, come da copione per ogni gnocca che si rispetti, lei si fa desiderare, credetemi: Fatina - lotta dura contro la dipendenza funziona.
Sofia all'istante lascia il ciuccio, senza crisi, con candore.

E a me, ad essere onesta fin in fondo, per basse questioni di autorità a volte mi girano. Con furore.




Perdonate la sconclusionaggine dell'elemento qui immortalato. Ci sto provando.
Anche perché mi pare ovvio che Fatina non si fa fotografare.

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